IL PACIOCCO
Venerdidodicidicembreduemilaotto,
Santagiovanna, la pioggia imbeve
l’ultima neve, e fa la via di sera,
sul marciapiede, un gran paciocco,
che non ci crede, chi non lo vede.
Pure il poeta rimesta nel sogno
l’innocuo verso d’istanza borghese.
Prova a cantare l’umana potenza
di chi rompe, paga e ripara
e i paciocchi son suoi.
Narro d’un sogno che nasce e muore
da arida fonte d’ispirazione,
essendo il mondo che accanto soffre
forse tutt’ altra cosa.
IL SOGNO
Sono a Murano, museo del vetro,
davanti a un vaso di fino cristallo,
traforato di pizzo e cesello.
Alzo la mano con meraviglia
e d’improvviso,
s’incrina
senza toccarlo.
Con la base di giallo avorio
diviene coccio sul pavimento.
Vengo condannato il giorno stesso,
a pagare il danno.
Dico: - Giuro non l’ho toccato -
alzo la mano
e ancora avviene l’arcano:
i cocci ricomposti
tornano saldi sul piedestallo.
Divengo oggetto di sensazione,
quasi fenomeno da baraccone.
Ma…attento!
Se rompo qualcosa e riporto l’oggetto
alla sua forma, non è miracolo.
Risanare un corpo già ammalato,
riaggiustare l’arto ch’era staccato:
questo lo è, ma non m’è concesso.
Dunque dai sogni conosci il Poeta,
anche se il bisogno d’avere una meta
di fare, disfare non lo fa tale.
Ieri la neve, oggi la pioggia,
questo paciocco da calpestare.
Leggo negli occhi d’una fanciulla
che mi sorride dal marciapiede
che la vita può anche piacere
in una fredda serata invernale.
Basta volere, sapersi aggiustare.
(Franco Dionigi)
MeteoDiario alla Borgo Po
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14 anni fa
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